A chi si riferisce l’io?

Avete mai pensato a quanto può essere moderno un grande classico come il “Don Chisciotte” di Cervantes seppur risalente al 1600? Deve averla pensata così anche il regista Fabrizio Monteverde che il 7 e l’8 dicembre 2019 ha portato in scena al Teatro Comunale di Vicenza la sua rielaborazione dal titolo emblematico “Io, Don Chisciotte”.

A chi si riferisce l’io? A Don Chisciotte che si racconta in un’autobiografia o forse a tutti noi? La stessa dedica iniziale infatti si rivolge a tutti i sognatori, ai teatranti e a coloro che sono definiti pazzi, ma che magari hanno solo un modo diverso di affrontare la vita. Sono i rapporti tra realtà e finzione, tra normalità e follia, i temi principali di questa storia. Don Chisciotte diventa un barbone, vive attorno alla carcassa di un’auto e fa uso di droga. Proprio attraverso questa sostanza allucinogena crea un rapporto alterato con la realtà che lo porta a sentirsi un cavaliere e a intraprendere un viaggio alla ricerca della propria identità, ma, per ironia della sorta, sarà proprio lo scontro con il mondo reale ad ucciderlo.

Don Chisciotte è quindi il prototipo del sognatore che però sceglie la follia come punto di vista. Non è forse per evadere da un’esistenza opprimente che oggi sempre più persone fanno uso di droga? Non solo nella nostra società, ma anche nell’intera storia dell’umanità non è mai stata accettata l’idea di essere originali o vedere la realtà in modo diverso. E allora mi chiedo, cambierà mai?

Marta Bitiusca, Liceo Pigafetta