“A tutti gli illusi, a quelli che parlano al vento, ai pazzi per amore, ai visionari, a coloro che darebbero la vita per realizzare un sogno, ai reietti, ai respinti, agli esclusi, ai folli, veri o presunti, agli uomini di cuore, a chi non vuole distinguere tra realtà e finzione, a tutti i cavalieri erranti, a tutti i teatranti”. E’ così che comincia, in un’ atmosfera curiosa, con luce soffusa, l’opera “Io, Don Chisciotte”. Lo spettacolo trascorre rapidamente, le figure volano dinamiche e veloci sulla scena, i brani si susseguono e i particolari effetti visivi, resi con incredibili giochi di luce, coinvolgono lo spettatore: proprio colui che, osservando scrupolosamente quelle sequenze, viene ribaltato in un universo fatto di follia e di immaginazione. Il protagonista si aggira avventuroso in quello spazio che ora è una selva e ora è invece un campo. Non vengono dati indizi che possano condurre ad una specifica ambientazione, ma i movimenti ampi di un Don Chisciotte ,in preda all’euforia, suggeriscono luoghi tutt’altro che usuali. L’espressione sul suo viso, però, non è di gioia, ma di angoscioso bisogno di evasione da un mondo nel quale coloro che tentano di condurre un’esistenza al di fuori di ciò che è considerato “normale” vengono osteggiati. Oscure figure irrompono veloci sul palco, spezzano con colpi di malsana realtà quella disperata richiesta che dal cuore trafitto del protagonista cerca affannosamente di raggiungere la platea.
Drammatica e fortemente caratterizzante è la presenza di un’ incinta Sancho Panza.
Come farebbe con il suo fragile piccolo una madre esperta delle brutali sorprese della vita, ella sta al gioco, difendendo il suo mondo anche a costo di indescrivibili sofferenze. E’ grazie a questa figura, chiave di mille metafore, che la richiesta comune a tutte le categorie inizialmente elencate giunge chiara e forte: “oh, voi che vi reputate normali, accettate chi osa riconoscere la normalità nella anormalità, chi ogni giorno è Don Chisciotte. Io, Don Chisciotte”.
Trovo molto profondo il messaggio celato nell’opera. Nonostante gli anni passati dalla stesura originale e i progressi che l’essere umano ha compiuto, risulta ancora attuale poichè ripropone il dramma della persona che per sua indole non si conforma e pertanto resta ai margini. Probabilmente Fabrizio Monteverde ha intrapreso il processo di riscrittura e di adattamento dello scritto alla danza moderna con l’intento di riproporre questa critica alla società; proposta davvero interessante che non ho potuto apprezzare in pieno in quanto non esperto di tale disciplina.