Così accade anche nella vita reale

L’opera teatrale “Uno, nessuno e centomila” alla quale ho assistito martedì 22 febbraio al Teatro Comunale narra le vicende e le riflessioni interiori di  Vitangelo Moscarda, un uomo che si rende conto di non apparire agli altri come lui si immagina. Anzi, egli arriva alla conclusione che esistono centomila versioni di lui che gli altri hanno in mente, diverse dalla sua propria. Decide quindi di iniziare una ricerca per rivelare il vero sé stesso, commettendo azioni folli e insolite finendo per sembrare un pazzo agli occhi altrui.

Dell’opera mi hanno colpito in particolare alcuni aspetti che si possono apprezzare dal vivo, e che invece nella lettura silenziosa di un testo teatrale vanno perduti, cioè quelli relativi ai ritmi e alla qualità della recitazione e alla scelta dei costumi.

La recitazione mi ha colpita perché tutti i personaggi dell’opera sono stati rappresentati solo da 5 attori che nel corso nell’esibizione passavano da un personaggio a un altro anche in un breve lasso di tempo, cambiando vestiti, tonalità di voce e perfino personalità. Sono stata sorpresa nello scoprire che gli attori erano in minoranza rispetto al numero dei personaggi, e non l’avevo notato fino alla fine dell’opera durante il saluto finale. 

Tra tutti gli attori, quello che mi ha fatto maggiormente emozionare e riflettere sulla storia narrata, facendomi sentire una connessione col personaggio rappresentato, è stato quello che aveva la parte di Vitangelo. Egli, infatti, è riuscito a renderne evidente la crisi d’identità, intraprendendo un lungo dialogo interiore allo scopo di cercare di capire – tra tutte le proiezioni che esistevano di lui – quale fosse veramente “il suo sé”. Questo dialogo interiore mi ha colpita: come Vitangelo anch’io mi sono domandata spesso chi fossi e se fossi la stessa persona anche per gli altri, giungendo alla conclusione che nessuno ci conosce per chi siamo realmente, quali siano i nostri più grandi desideri, paure o insicurezze se non noi stessi. Perciò nessuno più di noi può capire chi siamo e ciò che vogliamo, anche se a volte per arrivare a queste conclusioni necessitiamo di una guida, di una persona che conoscendosi già può aiutarci a raggiungere le nostre personali conclusioni, dato che ha già affrontato il suo “viaggio”.

Ho trovato molto interessante anche la scelta dei costumi, che mi ha fatto pensare che fossero stati scelti per ragioni simboliche legate al contenuto del testo. In particolare, penso nuovamente al personaggio di Vitangelo, il quale all’inizio indossava una sorta di giacca bianca forse per simboleggiare la purezza della sua mente e successivamente quando inizia a impazzire nella ricerca del suo vero io indossa una giacca rosa. La moglie invece indossava vestiti rossi e provocanti per rappresentare la vita “vera” e l’attenzione all’esteriorità.  Questo mi ha fatto riflettere sul fatto che da lei viene il “pretesto” che spinge Vitangelo alla pazzia, perché è lei che gli fa notare una serie di difetti fisici che prima lui non aveva mai saputo né pensato di avere e che pertanto per lui (prima) non avevano peso. Così accade anche nella vita reale: quando nasciamo siamo puri e sicuri di noi stessi, finché qualcuno non ci fa notare degli aspetti di noi che loro considerano difetti portandoci a diventare insicuri perfino su chi siamo.

Una sera a teatro iniziata forse con poche aspettative mi è servita invece a riflettere sul mondo e sulla società che stanno attorno a noi.

Anna Tossuto