Guardare.
Una parola semplice, dal significato ovvio ma difficile da spiegare. “Se non me lo chiedi, lo so. Ma se me lo chiedi, allora non lo so più” scriveva Sant’ Agostino nel IV secolo, riferendosi al tempo.
Come il tempo, anche molti termini di uso quotidiano nascondono i dilemmi più intricati da risolvere. Cos’è il guardare? Cosa comunica? Ma soprattutto: com’è possibile che da questo verbo si possa originare teatro?
Ed è proprio da qui che è cominciato il nostro progetto “Spettatori Consapevoli” 2019.
Un’esperienza di dubbio, di confusione, di scambio di opinioni e di ricerca riguardo ciò che consideriamo scontato…un po’ come la filosofia: risalire alle origini, non solo del teatro, ma anche della vita stessa. È stato come ricominciare daccapo con la fatidica domanda “Chi sei tu?”, alla quale mentiamo dichiarando il nostro nome. Ho conosciuto me stessa attraverso gli occhi degli altri, il loro riflesso, le emozioni che esprimevano, e ho scoperto di aver dato tutte le risposte sbagliate. Ho cercato a fondo dentro di me, ho tentato di aprire lo sguardo, di comunicare con l’esterno e con ciò che questo ha da offrirmi. Ho condiviso quel che ancora non era emerso per capire e interpretare quello che è per noi “teatro”. Tanti aspetti, un tempo sconosciuti, ora mi allargano l’orizzonte, il limite che tutti si aspettano di trovare, prima o poi, adesso è più lontano, pronto a nuove scoperte, curiosità, avventure. Pronto a rischiare e vedersi frantumare. Pronto al mondo e alla sua pura incertezza.
Per quanto riguarda lo spettacolo in questione, il monologo dell’Orlando Furioso di Stefano Accorsi, ha ulteriormente confermato le premesse indicate durante il lavoro che lo ha preceduto. Pur non conoscendo la storia, mi sono ambientata nella sua trama con un effetto immediato, quasi fosse naturale. La musicalità della rima ha cullato perfettamente ogni parola, significato, concetto rendendoli facilmente comprensibili; addirittura la scenografia, apparentemente bizzarra, ha accompagnato la melodia del testo con i suoi scatti di colore, che riprendevano gli impulsi emotivi dei personaggi; colori vividi ripercorrono i miei ricordi mentre l’immensa ombra di Orlando perdeva il senno e si lasciava sopraffare dalla furia iraconda. Un’ottima rappresentazione che mi ha aiutata a capirmi di più.
D’altronde, “il teatro è guardare vedendo” (Giorgio Albertazzi): che senso ha se, una volta tornati alla normale monotonia di casa, non siamo noi i primi a mettere in discussione noi stessi?
Giorgia Carli – Liceo Pigafetta, Vicenza