Il teatro è molto di più di ciò che si crede

La sera di un freddo martedì di metà febbraio sono andata assieme ai compagni di classe e ad alcuni insegnanti a vedere la rappresentazione teatrale di “Uno, nessuno centomila” di Pirandello. La sala era affollata più di quanto mi aspettassi e inizialmente non mi sarei immaginata quanto sarei stata catturata dallo spettacolo.

L’opera racconta la vita di Vitangelo Moscarda, detto anche “Gengè”, un personaggio che risulta subito affascinante per il suo eloquio, ma che si scopre nello stesso tempo “instabile”. Egli, infatti, pian piano prende coscienza di voler abbandonare o meglio distruggere la sua identità man mano che la storia prosegue.  All’inizio Moscarda ha una vita agiata frutto dei proventi della sua attività di prestito ad usura e ha una riuscita vita famigliare, in cui sembra sicuro dell’amore della moglie. Ma proprio quest’ultima ad un tratto lo turberà, facendogli notare con noncuranza che il suo naso pende da una parte, mentre lui è intento ad osservarsi allo specchio. Questo commento, all’apparenza estremamente banale, sconvolgerà la vita del protagonista. Egli si rende improvvisamente conto dell’importanza del giudizio altrui e capisce che tutti possono avere di lui un’idea diversa rispetto a quella che ha di sé stesso. Dopo questa presa di coscienza inizia la storia di come Moscarda ha cercato di liberarsi della sua identità inseguendo chi pensa di essere lui in realtà.

Ci sono diversi aspetti che ho trovato interessanti e anche creativi dello spettacolo. Non avendo ancora letto il libro da cui è stata tratta la rappresentazione teatrale, fin da subito sono stata catturata dalle scene e affascinata in particolare dai costumi. Avendo una ancor minima esperienza del teatro non sapevo cosa aspettarmi dai tempi necessari ai cambi-abito o di scenografia, ma i costumi erano semplici, moderni e bastavano a dare l’idea che voleva trasmettere la natura del personaggio. In questo senso, la cosa della quale sono rimasta più colpita è stato il veder rappresentare con solo cinque attori tutta la storia articolata su molti personaggi e di vedere che appunto riuscissero a farlo in modo totale anche con un semplice cambio d’abito. Infatti, confrontandomi con gli amici una volta finito lo spettacolo, ho visto che molti non avevano neanche notato che l’attrice recitasse sia la parte della moglie di Moscarda sia della donna da lui quasi uccisa. Io invece ero stata particolarmente attenta ai cambi d’abito, perché era interessante come una semplice parrucca o cambiamento di postura facesse pensare allo spettatore di veder recitare davanti a sé una persona completamente diversa.

Anche la scenografia era semplice ma di particolare effetto: una struttura con una rientranza che dava profondità e permetteva di cambiare facilmente il mobilio per rappresentare i diversi luoghi della vicenda, l’apertura delle finte mura alle spalle dell’attore che interpretava Vitangelo Moscarda durante i suoi monologhi, faceva comprendere quanto tutto fosse stato scelto con attenzione e mi ha fatto riflettere sul fatto che non sempre è necessario chissà quale dettagliata rappresentazione dei luoghi che erano invece con efficacia richiamati alla mente con qualche sedia, mentre il resto veniva descritto dalle parole degli attori e dalla scena in atto. È senz’altro da apprezzare sia chi ha ideato una tale scenografia, dall’aspetto semplice ma estremamente efficace, sia gli attori che hanno trasmesso al pubblico l’idea dell’ambiente in cui agivano.

Il personaggio di Moscarda mi è piaciuto particolarmente, per il suo simboleggiare il tema dell’opera, quello del rifiuto della schiavitù della maschera e della “trappola” dell’identità basata sulle convenzioni della vita sociale, che lo portano a decidere attivamente di annullare sé stesso fino ad allontanarsi dalla città per vivere nella natura, che viene opposta all’artificialità delle regole sociali. L’attore è stato davvero persuasivo, sia per le parti sostenute che per la capacità di ritenere a memoria il testo e di proporlo in modo convincente per tono e ritmi, tanto che in certi punti mi ha incantata.

Questa esperienza mi ha permesso di comprendere che il teatro è molto di più di ciò che si crede e mi ha permesso di apprezzare l’opera in un modo assolutamente diverso rispetto a quello di leggere le pagine del libro. Spero di avere l’opportunità di vedere altre rappresentazioni come questa che fanno riflettere e ancora oggi risultano piacevoli anche per un pubblico abituato al grande schermo e non più agli attori su un palco.

Erika Professione