Il 22 febbraio scorso al Teatro Comunale di Vicenza abbiamo visto lo spettacolo “Uno, nessuno e centomila” tratto dal noto romanzo di Pirandello. La proposta del Teatro ci ha permesso di fare un confronto con il romanzo “Il fu Mattia Pascal”, che avevamo scelto di leggere tra le opere dell’autore. In effetti i protagonisti di “Il fu Mattia Pascal” e di “Uno, nessuno e centomila” di Pirandello e le loro storie hanno svariate caratteristiche comuni.
Uno dei temi principali presenti in entrambe è infatti la percezione di sé stessi contrapposta alla visione che il resto del mondo ha dei protagonisti.
Sia Mattia che Vitangelo soffrono poi per il loro aspetto fisico ma in modo diverso: Mattia Pascal ha il problema dello strabismo, di cui è consapevole e che lo condiziona nel momento in cui vuole far perdere le proprie tracce, mentre Vitangelo inizia ad osservare i suoi difetti solo quando sono gli altri a farglieli notare. Nella rappresentazione teatrale a cui abbiamo assistito, questo suo atteggiamento è molto evidente soprattutto in una delle scene in cui è circondato da specchi che rimandano ciascuno un’immagine diversa in cui lui non riesce a riconoscersi, e che rappresentano la percezione che di lui ogni persona ha. Vitangelo però è un protagonista attivo che sceglie di staccarsi da queste visioni (rompendo gli specchi) e scegliendo piuttosto di essere “nessuno”, allontanandosi quindi da tutte le sue altre possibili versioni.
Quando Mattia invece si rende conto di esser creduto morto, inizialmente cerca di sfruttare la situazione diventando Adriano Meis, una sorta di suo simpatico e migliore alter ego. A differenza di Moscarda questo cambiamento è “passivo”, frutto di una conseguenza e non è una scelta, motivo per cui poi egli tornerà ad essere “Il fu Mattia Pascal”. Anche questo è un cambiamento ma stavolta sarà fatto in modo consapevole e affrontando le conseguenze che porterà, come per esempio sopportare di rivedere la sua famiglia che continua a vivere una vita serena anche senza di lui.
Entrambi i protagonisti partono da una situazione di apparente soddisfatta quiete personale per trovarsi in balia di eventi che li portano a vivere una crisi d’identità la quale, anche se in modo diverso, forza entrambi a voler cambiare la propria vita fino a una vera crescita personale.
A mio parere entrambi i finali sono complessivamente positivi perché i protagonisti sono maturati nel corso della vicenda. Vitangelo per esempio potrebbe apparire triste visto dall’esterno (in fondo finirà in manicomio) ma io penso che proprio in quel momento sia realmente realizzato avendo contemporaneamente ammesso e negato la sua identità definendosi “nessuno”. Gli altri personaggi della storia lo considereranno pazzo ma egli è in pace con sé stesso, come si evince dal suo monologo conclusivo sulla natura che lo circonda e sulla vita in generale.
Giulia Meneghetti