“Un po’ come tutti ero curiosa e emozionata come una bambina all’idea di vedere Stefano Accorsi dal vivo, a recitare sul palcoscenico senza il filtro dello schermo televisivo, senza interferenze tra me e lui. Per quanto riguarda le sue capacità, Accorsi non mi ha affatto delusa: ha avuto, secondo me, la capacità di trasmettere le emozioni provate dai diversi personaggi e di far rivivere lo spirito e il gusto per la narrazione del poema ariostesco grazie alla sua quasi violenta espressività e alla forza della sua voce.
Devo anche ammettere però che, in quanto estranea al poema epico, durante il corso dello spettacolo mi sono spesso trovata in difficoltà a seguire il filo della narrazione e ho trovato il componimento in rima, a tratti, monotono e poco emozionante. Non voglio quindi commentare lo spettacolo in sé, ma vorrei piuttosto soffermarmi su un elemento esterno alla rappresentazione che a me ha colpito molto.
Il pubblico, dall’inizio alla fine, in un silenzio attento, interrotto spesso dalle risate e dai frequenti applausi, ascolta e segue col fiato sospeso, finché Accorsi discostandosi dal filone principale mette in scena il duello di Lampedusa, immancabile paragone di morte con le drammatiche vicende attuali che ormai tutti conosciamo. Il silenzio da attento diventa imbarazzante: il pubblico sembra quasi non sapere come reagire. Mi sono chiesta il perché e mi sono anche data una risposta, a mia interpretazione.
Si parla di tragedie attuali e le persone si stancano e non sanno più cosa pensare. Perché? Ci si stanca perché siamo tristemente arrivati ad un punto in cui ogni qual volta si parla di immigrazione, se n’è già sentito parlare così tante altre volte precedentemente, che il cittadino medio disconnette il cervello ed inizia ad esprimere giudizi che definire “imbarazzanti” è riduttivo. Siamo arrivati ad un punto in cui al primo barcone che affonda i giornali e i social media ci tempestano di così tante notizie, perlopiù diatribe politiche, che al secondo attentato il cittadino medio già non si informa più.
Siamo arrivati ad un punto in cui è necessario mostrare la foto di un bambino morto su una spiaggia per far risvegliare le coscienze di chi si preoccupa solo dei giochi di potere. Siamo arrivati al triste punto in cui le persone vanno a teatro, Accorsi svela l’orrore delle morti a Lampedusa e c’è imbarazzo. Siamo vittime di una società anestetizzata dalla “globalizzazione dell’indifferenza” e mi chiedo, resterà il dramma dentro di noi? E per quanto tempo?”
Elisabetta Bonizzato – Liceo Pigafetta, Vicenza