Il 28 febbraio sono andata a vedere lo spettacolo “Pensaci, Giacomino” di Fabio Grossi tratto dalla commedia di Luigi Pirandello con Leo Gullotta (che ho avuto la fortuna di incontrare personalmente prima dello spettacolo) nelle vesti del protagonista, il professor Toti.
La scenografia mi è piaciuta molto: consisteva principalmente in pannelli raffiguranti enormi volti in stile espressionista che non abbandonavano mai la scena, simbolo delle voci, dei bisbigli, dei segreti che volano di bocca in bocca tra le malelingue di un paesino della Sicilia dell’onore, del patriarcato e delle famiglie “perbene”. Questo universo assurdo ma funzionante come un microcosmo è rotto dalla figura del professor Toti, il quale squarcia un mondo fatto di nulla e si presenta allo spettatore come persona. Come l’unica persona presente sulla scena, circondata da maschere folli e surreali. Lo spettatore non può che provare empatia, come nel mio caso, verso il protagonista; tanto più se interpretato da un attore tanto bravo da sparire sul palcoscenico e da far credere che Toti stesso sia stato preso e messo sulla scena.
Ho trovato lo spettacolo, più precisamente la storia, difficile: non difficile nel senso di complessa da seguire (anche se in certi momenti lo era, ma a causa dell’acustica del teatro), quanto piuttosto “non espansiva” nei confronti dello spettatore. Ho visto spettacoli che mi hanno in un certo senso costretta a prende parte alla loro storia, trascinandomi in modo quasi invadente; al contrario “Pensaci, Giacomino” sembra la messa in scena di un pezzo di vita dei personaggi, i quali si trovano a vivere un po’ della loro esistenza di fronte al pubblico che non hanno più di tanto intenzione di coinvolgere.
Quanto al personaggio di Toti nello specifico sono alquanto confusa per esprimere un giudizio.
Nel suo essere autentico in un primo tempo si guadagna l’empatia di tutti. Nel corso della vicenda però nel suo agire in un modo moralmente corretto e nel suo essere buono c’è chi scorge qualcosa di mefistofelico: non bisogna infatti dimenticare che Toti agisce come sappiamo per “farla” allo stato che non gli ha permesso di vivere come avrebbe voluto; inoltre questo suo agire non fa che causare dolore e sofferenza a tutte le persone attorno a lui e dunque il professore diventerebbe un grande egoista malvagio, il cui unico obbiettivo è soddisfare la propria sete di vendetta. Per quanto riguarda ciò mi sento in disaccordo: ritengo che Toti sia un personaggio buono e positivo e che i dispiaceri che si creano attorno a lui siano dovuti all’incapacità degli altri personaggi di liberarsi dalle maschere, le quali sono la vera causa del loro star male. “Non se ne liberano? È la loro scelta, io ho distrutto le mie maschere e ora vivo senza problemi, mi piacerebbe che facessero altrettanto ma non lo vogliono fare e io non posso costringerli”: questo è il pensiero che io attribuirei al professor Toti. Ero piuttosto convinta di questo mio punto di vista fino al finale, ma questo mi ha inquietato e ha scardinato le opinioni che mi ero fatta a riguardo. Toti conclude la sua performance con la frase “manco a Cristo credete!”, ma sotto questa il pianto del bambino si storpia in una risata diabolica.
Anna Fiorentin, Liceo Pigafetta