Lo spettacolo di Stefano Accorsi porta in scena la grande epopea dell’Orlando Furioso in una versione giocosa e comica, che vuole sottolineare il parossismo dei personaggi e delle guerre stesse.
Sul palco, nulla. Sullo sfondo, i cavalli di Mimmo Paladino, simboli scomposti della confusione della battaglia e del movimento sinuoso e perpetuo che unisce le storie di ciascun personaggio. L’epopea di Ariosto è impersonata dall’attore, in un atto di vita propria, uscita forse dai forzieri e dalle casse circostanti il palco e parte integrante della scenografia, unico strumento utilizzato durante lo spettacolo.
Stefano Accorsi e Marco Baliani giocano con il più famoso poema epico italiano, trascinando ogni verso autentico in un gioco di parole, una estremizzazione della rima o facendolo cadere in situazioni divertenti a sfondo sessuale degne dell’Ariosto stesso.
Del resto, forse, nemmeno l’autore stesso credeva nell’amore:la follia di Orlando non è causata da una passione genuina e perduta ma da una spinta carnale insoddisfatta, un oggetto di svago che attrae ogni altro paladino di entrambe le fazioni. Forse, ad indicare come uomini di fede diversa non siano, nel contenuto, poi tanto diversi.
L’opera non è un riadattamento, ne’ porta un nuovo messaggio. Non richiede un’analisi della società contemporanea o dell’uomo moderno (anche se ci punzecchia con il riferimento all’isola di Lampedusa dei giorni nostri, una bomba a orologeria che in una riflessione a posteriori tocca un nervo scoperto dell’Italia di oggi e aprirebbe lo spazio ad infiniti dibattiti). Porta semplicemente in scena se stessa, dando un assaggio dinamico di tutta la sua potenza e originalità integrale.
Alberto Cappellina – Liceo Pigafetta, Vicenza